AREA RISERVATA - HAPPYEATER, ETICA E SALVAGUARDIA DEL PIANETA
Se scegli di mangiare cibo locale, fresco, stagionale e integrale, la tua azione ha un impatto immediato non solo sulla tua salute ma anche sull’ecosistema che ci circonda, sia a livello micro del nostro territorio che a livello macro dell’intero pianeta.
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TERRITORIO
La rivoluzione alimentare, questo nuovo modo di “gestione globale del cibo” ha avuto un impatto enorme sui sistemi socio-economici locali, che da sempre hanno trovato nel modello di
produzione e distribuzione alimentare, un fondamentale, quotidiano punto di riferimento. La produzione locale unita alla visita alla piccola bottega di prossimità, non erano soltanto un ottimo metodo di cura e sostegno della propria salute, ma anche il metodo per dare sostentamento economico alla comunità locale e solidità ad un insieme di microrelazioni tra le persone, che rafforzavano il senso di appartenenza.
La distruzione di tale sistema di distribuzione territoriale, non solo ha distrutto i piccoli produttori escludendoli dall’accesso al mercato, ma ha distrutto un insieme di relazioni socio economiche fondamentali per il territorio. E’ importante tornare al concetto di produzione e distribuzione
territoriale che è il modo più efficace per poter avere cibo locale,
fresco, stagionale e integrale e allo tesso tempo ridare un futuro socio
economico alle comunità locali con tutto ciò che comporta in termini di
occupazione, di permanenza e salvaguardia del territorio, di preservazione dei metodi di produzione e consumo tradizionali , di salute sociale e personale.
ETICA
Al termine della filiera alimentare, il fattore più significativo è certamente lo spreco di cibo.
Produciamo molto più cibo rispetto a quanto ne servirebbe per sfamare l’intera popolazione mondiale, eppure, l’insicurezza alimentare continua ad affliggere grandi regioni del mondo, come Africa e Asia.
Circa un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo viene sprecato.
Oltre a rappresentare un’inaccettabile paradosso morale, questo fenomeno ha un
impatto significativo sul clima. Secondo il WWF, smettere di sprecare cibo significherebbe ridurre le emissioni derivanti dai sistemi alimentari di circa l’11%. Come consumatori, abbiamo tante opportunità per limitare l’impatto dei sistemi alimentari. In altre parole, possiamo utilizzare il nostro potere d’acquisto per ridurre concretamente la nostra impronta climatica ed etica. Esistono dei piccoli accorgimenti che possono rendere la tua dieta più sostenibile già da domani. Innanzitutto,
ridurre il consumo di prodotti di origine animale e incrementare l’acquisto di prodotti biologici potrebbe non solo ridurre le emissioni, ma anche salvaguardare la biodiversità animale e vegetale. Inoltre, sebbene il trasporto rimanga piuttosto marginale sul totale delle emissioni delle filiere alimentari (6-10%), mangiare locale e stagionale riduce l’impatto ambientale dei prodotti, generando anche benefici economici, sociali e culturali. Come disse Ann Wigmore “il cibo che mangi può essere o la più sana e potente forma di medicina o la più lenta forma di veleno”. Una lezione che vale per la salute del nostro corpo quanto per quella del nostro pianeta.
ECOSISTEMA
Quello che ogni giorno compriamo al supermercato e mettiamo sulle nostre tavole ha un importante impatto climatico. Secondo uno studio del Gruppo Consultivo per la Ricerca Internazionale sull’Agricoltura (CGIAR), i cosiddetti “sistemi alimentari” sono responsabili per circa il 30% delle emissioni antropogeniche di gas serra. La filiera legata ai prodotti di origine animale (vale a dire carne, uova e prodotti lattiero-caseari) è la ragione principale dietro questi effetti indesiderati, la produzione di carne e latticini utilizza l’83% dei terreni agricoli e produce il 60% delle emissioni di gas serra dell’intero settore agricolo. In particolare, la produzione di carne è responsabile del 30% delle emissioni globali di metano (CH4), un gas serra di 28-36 volte più potente dell’anidride carbonica. A queste si aggiungono alcune fonti indirette di emissioni, come la distruzione di foreste e boschi, importanti serbatoi di carbonio, per creare spazi dedicati a pascoli e monocolture destinate a sfamare gli animali. Un altro fattore nocivo per il clima, all’interno dei sistemi alimentari, è l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici. Oltre ad essere estremamente dannosi per le api, pesticidi e fertilizzanti rappresentano la fonte primaria di emissioni antropogeniche di protossido d’azoto (N2O), un gas serra 300 volte più potente dell’anidride carbonica. Rispetto ai livelli pre-industriali, il livello di N2O nell’atmosfera è aumentato del 20%, con gravi conseguenze per lo strato di ozono e per il surriscaldamento dell’atmosfera.
Un rimedio a questo fenomeno è l’agricoltura biologica, che evita l’impiego di pesticidi e fertilizzante. Oltre a diminuire le emissioni di N2O nell’atmosfera, l’agricoltura biologica aumenta la fertilità del terreno. Come documentato dal Rodale Institute, i rendimenti della produzione agricola biologica sono minori inizialmente, ma a lungo termine la migliore qualità del suolo incrementa la sua prolificità. Oltre ad essere più fertile, un terreno “sano” è anche un miglior serbatoio di carbonio.
L’agricoltura biologica non è solo funzionale per ridurre le emissioni e migliorare la qualità del suolo, ma anche per salvaguardare la biodiversità dei nostri ecosistemi. Purtroppo, la globalizzazione dei sistemi alimentari e l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi chimici hanno ridotto drasticamente la diversità di specie animali e vegetali. Eppure, secondo la FAO la biodiversità è fondamentale per la salvaguardia della sicurezza alimentare a livello globale. Meno biodiversità significa che piante ed animali sono più vulnerabili ai parassiti e alle malattie. Anche per questo motivo l’Unione Europea ha deciso di supportare l’agricoltura biologica lanciando, nel 2010, un logo (“eco-label” in inglese) che dà un’identità visiva coerente ai prodotti biologici. Più recentemente, nell’ambito del Green Deal, l’UE si è impegnata a raggiungere il 25% di terreni coltivati ad agricoltura biologica entro il 2030.